Prenditi qualche minuto e pensa alla settimana appena trascorsa …Hai rivolto a te stess* parole amorevoli? Parole in cui ti sei detto bravo o brava per essere diventato/a la persona che sei oggi ? Oppure parole in cui è prevalsa la critica? Parole che ti hanno ricordato che non sei abbastanza e che non sei una persona adeguata, giusta o amabile?
E’ sicuramente normale a volte rimproverare se stessi o scordare di rivolgerci qualche complimento. La nostra mente da brava macchina “risolutrice di problemi” tende a focalizzarsi maggiormente su ciò che vorremmo cambiare di noi stessi.
Il comportamento di autocritica così come quello di autocelebrazione sono comportamenti che sono stati programmati per assicurarci l’accettazione degli altri.
Il far prevalere l’autocritica sull’autocelebrazione o viceversa, dipende dalle esperienze di vita che abbiamo vissuto… prima fra tutte quelle con i nostri genitori o coloro che hanno svolto un importante ruolo di cura. Le persone fanno propri i messaggi di conforto o al contrario di critica dei genitori. Ciò significa che la telecronaca che sentono nelle loro teste è spesso una replica delle voci dei genitori o dei messaggi negativi che hanno ricevuto dalla società, dai coetanei o da altre figure nel corso della loro vita.
In particolare se sei cresciuto in un ambiente molto critico tenderai a credere che solo raggiungendo la perfezione sarai degno di amore. Ma dato che la perfezione non esiste, il rifiuto sarà dietro l’angolo.
La critica verso se stessi o l’autocelebrazione possono diventare un problema quando influenzano la qualità del rapporto con noi stessi e con gli altri.
Cosa succede invece se rivolgi a te stesso parole gentili?
Provare autocompassione vuol dire diventare comprensivi e gentili verso di sé, piuttosto che critici e giudicanti. Ci richiede di capire i nostri errori e le nostre fragilità invece che condannarli. Riconosce che tutti gli esseri umani sbagliano e provano sentimenti di delusione o inadeguatezza, connettendoci con l’esperienza umana che ci accomuna.
Per darci compassione dobbiamo osservare che stiamo soffrendo, accettando in modo non giudicante cosa sta succedendo nel qui ed ora, senza ignorare o esagerare il nostro dolore.
Purtroppo essere gentili con se stessi diventa un’impresa difficile se durante l’infanzia abbiamo ricevuto messaggi costanti di critica o di umiliazione ma se impariamo a darci affetto e comprensione, ascolto ed empatia impariamo ad avere fiducia nella nostra capacità di sostenerci ed accettarci.
Come mai quando ci diamo compassione sentiamo che siamo meritevoli di cura e accettazione?
Quando alleviamo il nostro stesso dolore ci colleghiamo con il sistema dell’accudimento che attiva il rilascio di ossitocina. L’ossitocina è un ormone che aumenta i sentimenti di fiducia, calma, generosità, sicurezza e connessione, rinforzando anche la capacità di provare calore e compassione verso noi stessi.
Ci sono molti fattori sui quali non abbiamo alcun controllo. Non abbiamo scelto dove nascere e gli ambienti della nostra infanzia, il nostro corpo, i nostri traumi e persino il nostro nome.
Molte cose sono programmate nei nostri geni, come le malattie di cui soffriremo, il nostro sviluppo e il nostro invecchiamento. Ma possiamo scegliere di relazionarci a noi stessi con gentilezza piuttosto che con disprezzo.
Se impariamo ad ascoltare e a valorizzare quello di cui abbiamo bisogno nel qui ed ora ed esprimiamo empatia nei nostri confronti piuttosto che condanna, creeremo emozioni di cura e connessione. Il potere dell’autocompassione non consiste quindi nel reprimere i sentimenti negativi ma di crearne nuovi positivi, abbracciandoli entrambi simultaneamente.
In sintesi..
Relazioni sane ci fanno considerare meritevoli di amore e cura, ma non possiamo dipendere esclusivamente dagli altri per cambiare quello che sentiamo di noi stessi. Possiamo trasformare la visione che abbiamo di noi stessi imparando a nutrirci con amorevole gentilezza.